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See you Italia. Video Reportage sulla nuova emigrazione

Un video reportage sull’emigrazione di nuova generazione, la c.d emigrazione 2.0 girato a Londra nell'aprile 2013 da Roberta Genghi, giornalista 27enne di Acquaviva delle fonti. 

Roberta, come mai hai deciso di realizzare un reportage sui giovani italiani emigrati all'estero?

A fine gennaio 2013 sono partita per Londra per prendermi una "pausa d riflessione" dall'Italia. Ho fatto solo il biglietto d'andata, non sapevo quanto mi sarei fermata, l’unica cosa certa è che avevo bisogno di disintossicarmi da un'Italia che stava cominciando ad essermi un po' stretta. Una volta a Londra mi sono scontrata con una realtà tristissima nel senso che sapevo già che ormai la città era diventata una "colonia" di italiani. Non credevo fossero così tanti, ed è triste perché le loro storie sono tutte uguali: tutti ragazzi laureati, scappati da un paese in coma convinti di trovare l'America a Londra finendo però schiacciati da un mercato che è diventato spietato e dopo anni sono ancora li, spesso nei fast food, nei bar,nei ristoranti.

 

 

Paolina, una dei protagonisti del reportage ha detto dopo la laurea ho “chiaramente” scelto di fare un master all'estero. È diventato così ovvio?

Si, l'Italia sembra non offrire più nulla. Molti partono perché non hanno niente da perdere, altri invece mollano tutto con la speranza di un futuro migliore, ma alla base c'è solo una forte rabbia, almeno è quello che ho potuto percepire parlando con i tanti italiani che sono a Londra.

 

 

Anche tu eri arrabbiata quando sei partita?

Io ero molto arrabbiata, venivo da uno dei periodi più brutti della mia vita. Avevo deciso di chiudere col mondo del giornalismo; dopo aver conseguito la magistrale in giornalismo alla sapienza di Roma ho cominciato a inviare valanghe di CV ogni giorno, senza mai ottenere risposta. Dopo mesi di agonia ero stanca di tutto e molto demoralizzata, così siccome a Londra ho tanti parenti, seconde e terze generazioni di emigrati italiani nel secolo scorso, mi son detta perché no. Imparo la lingua, faccio un'esperienza all'estero da sola, lontana da casa e come va, va. Così ho cominciato a frequentare un corso intensivo di inglese ed ho trovato lavoro in un ristorante come chef.

Dal giornalismo alla ristorazione, come mai ti sei orientata in quel settore?

Ho una grande passione per la cucina e poi in Italia davo una mano a mia mamma che aveva un ristorante. Ho cercato subito un lavoro di questo tipo anche perché il mio inglese non era ottimo, avevo bisogno di fare prima un po’ di pratica

Secondo te, anche sulla base delle testimonianze che hai raccolto durante la tua permanenza all’estero, un giovane italiano che decide di emigrare, è meno "choosy"? È disposto ad adattarsi di più?

Si certo,  anche perché sei costretto. La maggior parte dei ragazzi che ho incontrato mi ha raccontato che in realtà anche in Italia hanno provato ad adattarsi in tutti i modi e a tutte le condizioni lavorative, insomma hanno provato a resistere. Un esempio? L'head chef del ristorante dove lavoravo io, originario della provincia di Roma, ha deciso di trasferirsi a Londra con la moglie e il piccolo di un anno perché erano stanchi di lavorare in Italia in nero,  tutti i giorni e tutto il giorno e con stipendi da fame. Le storie che ho raccolto sono tutte molto simili, c'è grande rabbia e grande tristezza.  Forse qualcuno potrebbe chiedersi perché non si mettono a fare i camerieri o lavapiatti in Italia piuttosto che all'estero. Da un lato lo fai per farti un po’ le ossa, imparare bene la lingua, diventare realmente indipendenti, dall’altro c’è il fattore rabbia e demotivazione: piuttosto che stare qua con due lauree, un master e varie specializzazioni, per fare la fame.. vado via e chi se ne frega se vado a lavare i piatti,  almeno cambio aria, non resto in un paese in coma.

Un altro dei protagonisti del tuo reportage reportage dice " tornerei solo se fossi costretto, mai per scelta". Tu hai deciso di dare un’altra possibilità a questo Paese?

Si sono aperte alcune possibilità per me in Italia. Anche se ho lasciato qualche porta aperta a Londra: il conto inglese e il NIN li ho quindi posso partire quando voglio. Qua però ho la mia famiglia, il mio ragazzo con cui convivo e che ha un contratto a tempo indeterminato ... Insomma ci sono tante cose in ballo. Inoltre penso che questo non sia il momento migliore per emigrare, la crisi è globale e a meno che non si abbia una professionalità davvero richiesta dal mercato del lavoro si finisce per fare la fame anche all’estero!

Una cosa che colpisce molto del tuo reportage è la considerazione fatta da Paolina: non si punta più ad avere il lavoro dei propri sogni "perché forse è troppo", ma basterebbe avere almeno l'opportunità di sognare; confrontandoti con gli inglesi hai percepito la stessa amarezza?

Ecco quello che dice paolina alla fine del reportage è emblematico, descrive bene l'atteggiamento dei giovani italiani all'estero. Stando lontani si apprezzano di più i legami, le proprie origini, la propria terra. Forse c’è rabbia, ma c’è anche la voglia di tornare a casa seppur consapevoli che non si farà mai il lavoro dei sogni, quello per cui hai studiato e per cui hai fatto tanti sacrifici.

Si ha dunque la tendenza ad abbassare le proprie aspettative?

Si, io per prima sto accantonando sempre di più il giornalismo e mi sto dedicando ad altro. È triste, ma è così. Negli inglesi non ho percepito questa amarezza, i miei cugini mi hanno aiutato tanto a ritrovare fiducia in me stessa e avere maggiore fiducia nel futuro. Londra è magica anche per questo secondo me, riesce a farti sentire forte ti costringe a reagire. È una giungla e ti devi svegliare of course!

Tag(s) : #storie