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Fogli di via, racconti di un vice Questore

Lo abbiamo incontrato in occasione della campagna "Cittadinanza Prossima" a Verona. Lui è Gianpaolo Trevisi, vicequestore aggiunto presso la Questura di Verona e autore del libro “Fogli di via”, una raccolta di racconti scritti negli anni in cui era dirigente dell’ufficio immigrazione.

Dott. Trevisi, da cosa nasce l’esigenza di riportare in chiave narrativa episodi legati alla sua professione. Qual è il messaggio che vuole veicolare?

Raccontare, semplicemente raccontare, perché spesso le storie, anche se le mie hanno un finale surreale, dicono e spiegano meglio, spesso, di leggi, regolamenti, quotidiani o commenti da bar. Soprattutto nelle scuole dove sono andato a parlare di questo libro, tanti ragazzi, a fine conferenza, mi hanno chiesto se davvero quello che raccontavo era accaduto, se davvero ci sono persone che soffrono e lottano per la vita in quel modo, se davvero ci sono così tante cose di cui pochissimi parlano.

Sul nostro blog abbiamo parlato di come, spesso, l’integrazione passi prima di tutto dal linguaggio, sottolineando come spesso “il primo reale problema è rappresentato dalla comunicazione, o meglio dal ruolo che l’Informazione assume nel processo di integrazione. In un Paese come l’Italia, dove gran parte dell’informazione sugli immigrati è incentrata sulla cronaca nera, la percezione dello straniero è distorta, è figlia di una comunicazione superficiale e spesso xenofoba. Per questo sempre più spesso i termini immigrazione e straniero diventano sinonimi di invasione e criminalità.”

Purtroppo questa è la fotografia della triste realtà, basti pensare ai plastici di Porta a Porta, o ad altre mille trasmissioni simili, è un modo di fare giornalismo molto trasversale e non rivolto solo al fenomeno dei cittadini extracomunitari: la gente, o almeno la maggioranza di essa, sembra essere attratta dalla cronaca nera, dalle tragedie, dai delitti più efferati e cruenti. Si deve lavorare sicuramente di più sul positivo e raccontare storie positive e ce ne sono tante, perché queste storie ci possano ridare fiducia nel prossimo, anche in quello che sembra davvero molto diverso da noi.

Se pensiamo agli immigrati italiani arrivati in America nei primi del ‘900 ci rendiamo conto di come alcuni concetti, frasi e diversi giudizi loro rivolti sono gli stessi che alcuni di noi oggi usano pensando ai nuovi immigrati, quelli che non arrivano con valigie di cartone e non si chiamano Giuseppe, Antonio e Pasquale, ma che sempre di sogni hanno fame. Alcuni dei nostri nonni, dei nostri zii possono pure aver portato qualcosa di sbagliato negli Stati Uniti e in altre nazioni, ma quanti di loro hanno lavorato con impegno, portando fatica, sacrificio, sudore, lavoro e anche tanta cultura?

 

C’è un racconto nel suo libro “L’Africa in un cassonetto”, che meglio di tutti fa capire cosa significa avere a che fare ogni giorno con donne e uomini che, seppur così diversi da noi, come noi hanno sogni e speranze

Io dico sempre che L’Africa in un cassonetto è il papa’ di tutte le altre storie e dentro le sue pagine c’è un po’ tutto quello che voglio dire con l’intero libro: occorre sempre, prima di decidere e giudicare, mettersi nei panni degli altri e soprattutto in quelli delle persone che apparentemente sembrano molto diversi da noi; facile mettersi nei panni dei nostra sosia con gli stessi nostri pensieri e modi di vivere. Dov’è la difficoltà? Che senso ha? Per cambiare le cose non credo serva avere la sfera di cristallo, quanto piuttosto rileggere meglio la storia.

In questo racconto parla della sua posizione e di quella dei colleghi, sempre a metà tra chi vi dice “bravi” e chi invece vi esorta a pensare “ai delinquenti veri” piuttosto che dare la caccia ai venditori ambulanti. Nello scrivere il libro, nel mettere insieme questi racconti, ha cambiato posizione? O si sente sempre a metà strada?

Si resta quasi sempre a metà strada; è difficile avere tutta l’opinione sempre dalla parte nostra e pensi che in alcuni quartieri di città difficili alle volte i colleghi si ritrovano insultati anche quando vanno a prendere capi clan e questo, anche se ovviamente parliamo di eccezioni, le da un po’ l’idea del nostro essere a metà. Succede allo stadio, quando spesso tifoserie contrapposte si uniscono pur di attaccarci, ci capita nelle piazze, nelle vie e ci capita soprattutto quando magari ci troviamo costretti a usare anche violenza pur di impedire qualcosa e allora ti trovi contro una valanga di critiche. Possiamo sbagliare, è vero, ed è giusto che chi sbaglia paghi molto, perché indossa la divisa, ma si pensa sempre troppo poco al poliziotto ferito.  

Oggi il dibattito sull’acquisizione della cittadinanza da parte dei figli di genitori stranieri nati in Italia è particolarmente acceso e controverso. Lei, in virtù della sua esperienza, cosa sente di dire su questo tema?

Tema difficile, controverso e complicato e spesso trattato con troppa superficialità; non spetta a me dare giudizi e non sono nella posizione di potermi esprimere, ma credo che sarebbe importante, intanto, che si studiasse di più l’argomento e che le varie persone che hanno il potere e il dovere di prendere decisioni possano dopo aver ascoltato gente informata e preparata. Davvero troppo facile parlare di ius soli e contare i favorevoli o i contrari, senza aver spiegato bene loro che cosa si intende in maniera precisa. 

 

 

- Il libro "fogli di via" è disponibile sul sito della Emi di Bologna -